Antichi mestieri

E ‘nti ‘stu curtigghiu c’è un peri di rosa, Un peri di rosa. Nun la tuccati nuddu ch’è la mia!…. (Nota di lavannari)

Sembra di sentirle queste donne mentre lavano i panni. Lavano i panni propri o a pagamento quelli di altre famiglie. Cantare o spettegolare per alleviare la fatica di un’attività veramente gravosa. E sembra di vederle mentre portano in perfetto equilibrio le grosse ceste o cufina (dall’arabo “quffa) con la biancheria da lavare.

Eredità di memoria di una civiltà ormai scomparsa, i lavatoi sparsi in molti luoghi dell’isola ci narrano pezzi di storia e di usi e costumi di quella vita quotidiana ancora legata alla vita contadina. Luoghi che sono degli esempi ancora vivi di una edilizia architettonica ed idraulica pensata al servizio della popolazione locale.

Antichi o più moderni, fino alle soglie dei primi anni del secolo scorso, i lavatoi sono strutturati in modo che oltre ad avere le vasche di lavaggio e quelle per la raccolta delle acque, fossero coperti da una tettoia al fine di riparare le lavandaie dal sole e dalle intemperie. Dal medioevo fino all’affermarsi in pieno delle forme urbane più moderne era in uso per le donne “criate” e non, di recarsi nei lavatoi per lavare i panni.

Oltre ai più famosi di Ortigia e Cefalù, i lavatoi sono presenti anche ad Acate, Catania, Piazza Armerina dove il lavatoio di origine medievale è composto da 18 vasche in pietra con copertura a padiglione sorretta da capriate in legno.

lavatoio

Testo di Antonella Coco

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